Il PIL italiano, per l’anno 2023, vale circa € 1.800 MD (1.787,7 ad essere precisi, + 0,7% vso il 2022): quello della Germania è più o meno il doppio (€ 3.435 MD), la Gran Bretagna vale circa 1,5 volte (€ 2.525 MD), la Francia è leggermente inferiore (€ 2.425 MD). Seppur siamo al 4° posto in Europa, continuiamo a far parte del “gruppo ristretto” del G7, che comprende le prime sette economie al mondo (motivo per cui la premier Meloni è volata, proprio ieri, in Giappone).
Se “mettiamo insieme” le prime 6 aziende tech al mondo ( Amazon, Alphabet-Google, Apple, Meta, Microsoft e Netflix, in stretto ordine alfabetico, e con Nvidia e Tesla a poca distanza), scopriamo che, solo nell’ultimo trimestre del 2023 hanno realizzato ricavi per $ 486,7 MD, con un utile netto superiore a $ 100 MD ($ 102,1 MD). Sull’anno, ipotizzando un andamento lineare, vogliono dire $ 1.946,8 MD, e quindi € 1.802 MD, esattamente quanto siamo riusciti a produrre e consumare in Italia. Con una piccola differenza. Anzi, 2: la prima, l’incremento da un anno all’altro è stato pari all’11,8%. La seconda è ancora più evidente: l’utile è balzato del 56%, raggiungendo, appunto, i $ 102 MD. Vero che si tratta di numeri riferiti solo al 4° trimestre, ma la tendenza è piuttosto chiara.
A spingere i ricavi e permettere una marginalità che ha dell’eccezionale (solo il lusso, probabilmente, alle nostre “latitudini” è in grado di esprimere risultati analoghi) sostanzialmente 2 fattori: l’Intelligenza Artificiale (ancora lei) e, sul fronte degli utili, il contenimento dei costi, grazie soprattutto all’efficientamento operativo. Pur con le dovute differenze (è chiaro che Amazon, Apple e Meta, per citarne 3, fanno cose assolutamente diverse), è chiaro che l’utilizzo dell’AI, con tutte le sue applicazioni, garantisce un “motore di crescita” incredibile in ogni ambito tecnologico, assicurando un utilizzo più veloce e ampio delle informazioni e della tecnologia di volta in volta messe a disposizione degli utenti. Mentre l’efficientamento operativo passa soprattutto attraverso il contenimento dei costi: esattamente l’opposto di quanto succede per i conti pubblici, dove, un anno dopo l’altro, crescono in maniera costante.
In un contesto del genere, i numeri emersi lo scorso venerdì negli USA, con riferimento all’occupazione, possono sembrare una “naturale conseguenza”. Cosa vera solo in parte, viste le dimensioni: rispetto ad attese di 185.000 nuovi posti di lavoro, ne sono stati creati ben 353.000. Dato ancora superiore a quello già eccezionale del mese precedente, quando si toccarono i 333.000 nuovi occupati contro attese di 216.000. Con un livello di disoccupazione che rimane bloccato al 3,7% (gli analisti si aspettavano il 3,8%).
Nell’ordine delle cose, quindi, che i salari (in Usa) abbiano avuto un incremento dello 0,6% in termini di paghe orarie, dopo il precedente 0,4% di dicembre (le attese erano dello 0,3%).
Più d’una, quindi, sono le motivazioni che fanno pensare che la FED non abbia alcuna fretta di “tagliare” (anche perché, nel frattempo, l’indice di fiducia dei consumatori continua a crescere).
Un po’ diversamente vanno le cose da questa parte dell’oceano, dove indubbiamente la fatica, per famiglie e imprese, è maggiore. Con le rinnovate tensioni medio orientali che possono essere causa di conseguenze più negative, vista la maggior dipendenza delle forniture dai trasporti marittimi (anche se, secondo alcune stime, le ricadute sui prezzi non dovrebbero superare un modesto 0,15%). Con un PIL che ovunque fa fatica a crescere (da noi la maggior parte delle previsioni lo colloca tra lo 0,6 e lo 0,8%). Probabile, quindi, che la BCE, per una volta, “anticipi” la cugina americana, anche se sullo sfondo rimangono le elezioni Presidenziali, in grado di cambiare “le carte in tavola, con Powell che potrebbe essere pronto ad intervenire per supportare l’economia Usa in caso di un rallentamento più forte del previsto (da sempre l’elezione di un Presidente americano non può prescindere dal buon andamento dell’economia).
Inizio settimana all’insegna della volatilità per i mercati Great China, in una continua altalena di prezzi. Shanghai, dopo una partenza fortemente negativa (– 2%) era risalita ben sopra la parità, ma in questi minuti è in calo nuovamente dell’1%. Un po’ meglio va per Hong Kong, dove il calo dell’Hang Seng al momento si ferma ad un modesto – 0,11%.
Positiva Tokyo, con il Nikkei che fa segnare + 0,55%.
In calo Seul, con il Kospi a – 0,5%.
Futures leggermente negativi a Wall Street, mentre prevale in segno positivo in Europa.
Petrolio poco mosso, con il WTI a $ 72,39.
Andamento simile per il gas naturale Usa ($ 2.087, + 0,19%).
In calo l’oro, a $ 2.056 (-. 0,44%).
Spread che apre la giornata a 157 bp.
BTP a 3,80%.
Bund a 2,24%.
Torna sopra il 4% (4,06) il treasury.
In leggerissimo rafforzamento il $ vso € (1,0776).
Bitcoin “in pausa”, con le quotazioni che rimangono intorno ai $ 43.000 (42.815).
Ps: si sa che se c’è un ambito in cui “nothing impossible”, questo è lo sport. Ma a volte anche nello sport accadono cose quasi incredibili. Come ieri nello slalom di Coppa del mondo di sci. E’ successo, infatti, che l’ultimo classificato al termine della 1° manche (e quindi l’ultimo ci coloro che potevano disputare la seconda manche), lo svizzere Yule è riuscito a scalare tutte le posizioni, recuperando oltre 2” (un’eternità per quella specialità), vincendo la classifica finale. Ancora una volta un grande insegnamento: mai arrendersi.